Il silenzio e le parole attorno, recepite, ascoltate. Senza aver scelto, compiuta necessariamente una selezione e aver riempito il proprio pensiero, identificato. Quando l’altro parla siamo sollecitati trovandoci in una situazione comunicativa a dare una nostra risposta. La nostra risposta spesso è selezione identificata del pensiero altrui, che ad esso si oppone. Questo perché pensiamo che l’altro esponga un suo pensiero, pensiero al quale ci sentiamo in dovere di controbattere. Due pensieri che “l’un contro l’altro armato” si fronteggiano. Non c’è domanda, non c’è risposta, non c’è ascolto, non c’è comunicazione. Selezioniamo e facciamo a brandelli, le idee dell’altro, le neghiamo, salvo poi in altro contesto riproporle riconoscendone implicitamente il valore, oppure le accettiamo così come sono senza riflettere, senza spirito critico.
Il problema è che nella comunicazione non è solo questione di confronto di pensieri e idee, entrano in gioco altri fattori. Fattori per così dire emozionali e affettivi, o più genericamente relazionali. E’ sbagliato ridurre tutto a un conflitto di menti e dei pensieri che essi producono. Due persone si incontrano e comunicano e si scambiano molto di più. San Paolo nella lettera ai Romani 12,15 dice: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto”. L’Apostolo ci invita a vivere l’incontro con l’altro con apertura, con spirito di accoglienza, ma soprattutto ci invita creare empatia con il nostro prossimo, a mettere in campo una disponibilità all’ascolto che diventa un vero e proprio atto di carità spontaneo e partecipato.
Sembra scontato, ma non è così credetemi. Spesso le gioie altrui e le sofferenze diventano occasioni per noi di tentazioni. Non rinunciamo a dire la nostra, a fare confronti, paragoni, spinti da gelosie e invidie. Quando il discorso non è più solamente teorico, ma ci tocca nella carne, ecco che il pensiero per quanto competente non è sufficiente, anzi spesso risulta fastidioso e inopportuno. Ricordate gli amici di Giobbe? Ecco quello è un esempio lampante di come la comunicazione dei propri pensieri, delle proprie idee, per quanto alti e profondi, risulti del tutto insufficiente. Non è comunicare, ma soppesare il proprio pensiero e quello altrui, recando fastidio, generando malumore e disappunto. Non passa nulla, ma si creano due blocchi contrapposti che interrompono il loro flusso, il loro scambio. Come pali della luce solitari a cui hanno tagliato i fili elettrici che li tenevano uniti.