La famiglia stanca, è come lavorare, peggio di lavorare: è il lavoro per eccellenza la famiglia. A voler spenderci tempo ed energie ti ritrovi senza aver più, uno spazio per te. E’ un tessuto vivo di relazioni, una comunicazione incessante e continua, la palestra della vita. A volte è difficile tenere tutto assieme, trovare un senso ad ogni avvenimento e sentire ricostituita l’unità in un vincolo indissolubile. Lo si fa per amore, perché è l’amore l’impalcatura del matrimonio, le fondamenta. Senti che sei amato e che qualcuno ti aiuta a sorreggere, a portare il peso. Ti lasci guidare con fiducia, con la consapevolezza che sei comunque al posto giusto nel momento giusto, che altrove non c’è posto per te, per i tuoi sogni, per le tue speranze. Sentirsi centrati comunque, appuntati con uno spillo sulla bacheca di Dio. Non come una bamboletta woodoo, ma come promemoria, un foglio su cui è segnato un appuntamento che si rinnova giorno dopo giorno nonostante le nostre infedeltà, il nostro remare contro.
Un luogo la famiglia che può diventare centro di irradiazione del mondo, ma anche inferno, tristezza disperazione. In questa lotta è la sua santificazione, il suo diventare chiesa domestica. Fare strada, fare cammino, vincere, perdere, rialzarsi e tornare a vincere. Non c’è, non esiste, un modello di vita standardizzato che la renda sacra, fulgida icona della chiesa cattolica. Esistono regole che all’interno della famiglia vanno condivise, prima tra genitori e poi tra genitori e figli. Ma soprattutto esiste il dovere dell’ascolto, della comprensione, della misericordia degli uni verso gli altri. Esiste il dovere dell’Amore, ma se l’amato non sa più attingere alla sorgente dalla quale scaturiva il suo canto chi celebrerà le lodi dell’amata?
A chi, marito caro, ti somiglio?
Ecco: a flessibile ramo io ti somiglio.