Il Corpo e la Parola

Interamente, la realtà spirituale, non potremo viverla che dopo la nostra morte. Ma a conoscerla iniziamo da qui. Cominciamo a comprendere che cos’è, come siamo strutturati e sentiamo così l’esigenza di scrollarci di dosso la macchia del peccato, di ripulire la nostra anima, sgrassarla, dalle incrostazioni che si sono depositate sul fondo (una volta che ti accorgi della presenza dell’anima fai del tutto per raggiungerla, per scoprirla, per ritrovarla intatta). Incrostazioni vecchie di migliaia di anni. Nel compiere questo viaggio abbiamo dalla nostra un prodotto unico nel suo genere che penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito. La Parola di Dio che nella forma più avanzata si fa corpo e sangue in Cristo Gesù. Se le nostre parole, i nostri linguaggi possono a volte riuscire incomprensibili, intraducibili nella loro essenza più vera e profonda, Cristo icona vivente della parola di Dio, non lo è.

Fino al suo avvento i rischi di incomprensione e fraintendimento erano grandi e non facilmente risolvibili, ma una volta che un nuovo codice comunicativo è stato adottato in luogo del vecchio, ciò che prima era oscuro e nascosto, ora è divenuto manifesto e leggibile. Volete una parola: Eccovela dice il Signore. Una parola definitiva che non possa lasciar dubbio alcuno. Non ci sono più alibi dopo la venuta di Cristo. Un Corpo non può passare inosservato a nessuno.

Le interferenze del principe dell’aria

Non posso pensare senza essere osservato. Se il pensare in solitudine è un atto comunicativo, quindi, un fatto, quindi un evento, possiede anche un grado maggiore di visibilità. Se penso credo di potermi nascondere perché ritengo che il pensare avvenga in una sfera privata nella quale sono io il solo ad essere presente. Pensare è come nascondersi dallo sguardo di Dio. Pensare equivale a soppesare, a passare al vaglio ciò che accade. E cosa accade? Accade appunto che è in atto una comunicazione. Se la penso ne fermo il flusso. Ricordate la domanda rivolta da Dio ad Adamo “Dove sei?” e la risposta imbarazzata del nostro progenitore “ Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perchè sono nudo, e mi sono nascosto” Adamo non si era nascosto solo fisicamente, ma aveva compiuto l’operazione di nascondere anche i suoi pensieri. Non vi fate trarre in inganno dal fatto che lui in apparenza dica la verità perché lui è già fuori dalla verità, avendo interrotto (per la prima volta nella storia) il flusso della comunicazione originaria. Di questa interruzione chi è responsabile? Naturalmente lui, il principe delle potenze dell’aria, l’ingannatore dell’etere. Da questo momento in poi la comunicazione con Dio sarà soggetta a continue interferenze, ma soprattutto la Verità non potrà più avere sede stabilmente nel cuore dell’uomo. Accade infatti che l’uomo privato del suo referente comunicativo principale, finisce per credere di essere solo al mondo, abbandonato. Sente così l’esigenza di produrre pensiero, di ricavarsi una identità per sopravvivere. Se il flusso è stato interrotto e i messaggi oramai rifluiscono nella sacca dell’Io, come i fiumi al lago, c’è l’esigenza di ripristinare quel trasmettitore universale che inviava messaggi e il cui nome era Dio. La radice è la stessa solo che stavolta il trasmettitore è molto più piccolo e insignificante se vogliamo, e si chiama Io. L’uomo deifica se stesso. Ha bisogno in definitiva di qualcuno che gli invii messaggi, di domande a cui dare risposte e decide di fare tutto da solo. Naturalmente qui il principe delle potenze dell’aria ci va a nozze perché essendo lui il promotore di questa iniziativa, ora può godersi la trasformazione di tanti piccoli omuncoli-io che a sua immagine e somiglianza si spacciano per quello che non sono, e cioè Dio. E fu questa un’epoca della storia dell’uomo ma per certi versi è ancora attuale.

Cosa accadde poi? In questo marasma generale e diffuso, ci fu un popolo, che preservò la comunicazione, il dialogo, che la tenne viva tra mille contraddizioni fino ad arrivare al Suo avvento. Gli ebrei a livello di comunicazione hanno fatto il massimo che potevano fare, la Verità non poteva ancora essere ripristinata in maniera definitiva e completa, bisognava continuare a scambiarsi messaggi con il rischio di fraintendersi. E infatti loro hanno frainteso. Perché per quanto si provassero ad uscire dal loro Io non ci riuscivano. E’ c’è una differenza abissale credetemi tra la Verità che agisce in un contesto in cui è la persona, l’individuo, a credere di doverla lui testimoniare, e una Verità che viceversa dà testimonianza a se stessa chiedendo solo di essere accolta, ospitata. La Verità infatti è altro da me.

L’avvento di Gesù Cristo nostro Signore ripristina l’antica alleanza. Il colloquio si fa più intimo perché quel trasmettitore universale, ha installato un ripetitore sulla terra: la Croce Santa. Che come un faro nella notte brilla e invia segnali ai naviganti. Dischiudendo alle sue spalle l’aurora della vita eterna.

Sostanza Ontologica comunicante

Se è vero quindi che le parole per preservare la loro energia spirituale è giusto che restino nascoste, fino a quando lo Spirito Santo non se ne servirà in un contesto comunicativo, con lo scopo ben preciso di dare testimonianza alla Verità, è anche vero che tutto ciò è necessario perché nella parola si annida colui che è abile ad alterare la comunicazione. Ma andiamo per gradi, e per prima cosa leggiamo questo passo di Esichio Presbitero:

“Bisogna faticare per la custodia delle cose preziose; ma per la verità sono le cose preziose che custodiscono noi da ogni malizia sensibile e spirituale. E queste cose sono la custodia dell’intelletto con l’invocazione di Gesù Cristo, e il guardare sempre alla profondità del cuore, e stare di continuo nella esichia con l’intelletto, anche per così dai pensieri che appaiono buoni; e avere cura di essere trovato vuoto di pensieri, affinché i ladri non vi si nascondano, e se anche persistendo, fatichiamo col cuore, però la consolazione vicina. Filocalia vol I, Gribaudi editore pag 249.

Tralascio volutamente in questo post qualsiasi considerazione sull’importanza e il valore, dell’Esichia e della Preghiera del Cuore nella tradizione ortodossa. Così come una eventuale analisi su quel meraviglioso testo che è la Filocalia, che qui in occidente abbiamo conosciuto, la maggior parte di noi, attraverso I racconti di un pellegrino Russo.

Soffermiamoci invece sulle parole di questo padre della Filocalia e in particolar su alcuni punti del suo discorso: 1- Le cose preziose, ossia la Verità, ci custodisce da ogni malizia sensibile e spirituale; 2- Avere cura di essere trovato vuoto di pensieri perché…; 3- I ladri, ossia i demoni, si nascondono nei pensieri.

Tutto ciò, come dissi altrove, è compendiato nel monito di Gesù ai suoi discepoli che troviamo in Luca 12,11-12. Ora domandiamoci: perché questo avvertimento? Se ci comportiamo diversamente e non affidiamo tutto noi stessi alla Verità che ci preserva e custodisce, ci lascia vuoti di pensieri, e al momento opportuno ci suggerisce le parole adatte, cosa può accadere? Se non siamo vuoti, in un vuoto silenzio, che si badi bene non è assenza ma presenza di Gesù Cristo nostro Signore ci troviamo ingombri di pensieri-parole. C’è movimento quindi, non c’è quiete nella nostra anima, nel nostro cuore e intelletto. Tutto ciò si verifica perché in maniera del tutto involontaria, non dipendente cioè dalla nostra volontà , si generano immagini, parole e musica nella nostra mente. Tutto ciò accade perché siamo dotati di una nostra energia spirituale originaria che ha come compito proprio quello di generare comunicazione. Siamo fatti di sostanza comunicativa in poche parole. La comunicazione, che è anche comunione, è la nostra sostanza ontologica. Se questa struttura non la preserviamo, o meglio non lasciamo che si preservi da sé secondo le sue regole, accade che interferiamo con essa.

Riassumendo: siamo fatti di sostanza ontologica comunicante, ossia di una sostanza che non ha bisogno di essere attivata per inviare messaggi. Li invia già di per sé, occorre solamente mettersi in ascolto. La natura di questa sostanza è quella naturalmente di venir fuori, di comunicare, tanto più quando su di essa agisce il “rifornimento” dello Spirito Santo. Passatemi il paragone: quando aumenta il carburante, ci sono più probabilità che si generi un moto, e quindi la comunicazione. Ma proprio in ciò che per sua natura la definisce e la caratterizza, si annida il rischio più enorme. Amare è un rischio, così come cercare la comunione con i fratelli e comunicare. Nel momento infatti dell’insorgenza delle parole, del loro venir fuori ed apparire all’aurora della mente, i demoni sono in agguato. Vediamo cosa fanno: 1) Introducono una sorta di virus per cui per prima cosa rendono autoreferenziale il discorso, spostano cioè ; la nostra attenzione dall’atto comunicativo in sé, al pensiero di tale atto. Dal comunicante, al comunicato. Se non c’è comunicante (cioè colui che comunica), non possiamo dire allora che si tratta di comunicazione ma solo di pensiero. Che si autogenera e si autoproduce chissà per quale meccanismo dovuto magari alla materia e quindi ai sensi. 2) Creano un collante, una aderenza tra l’insorgere di quelle prime immagini, parole e musica e i nostri sensi, impedendo all’intelletto di controllarne gli ulteriori sviluppi. Qualora i nostri sensi fossero sempre rivolti alla realtà materiale che li circonda, in continuo stato di eccitazione, difficilmente infatti potrebbero essere governati. 3) Una volta creata questa aderenza, dopo cioè aver imbracato il pensiero, lo fanno rotolare, per vie traverse, fino completamente a sottometterlo, e a sottomettere con esso la nostra volontà.

In definitiva ciò che tentano instancabilmente di fare i demoni è di impossessarsi di questo processo comunicativo originario e di distruggerlo. Potere e distruzione. Morte e guerra. Le parole da strumento diventano fine, e così chi le detiene. Governare un universo, di immagini, di parole di suoni, significa governare anche il mondo: dimenticare che esso ci è dato per dialogare con il nostro creatore, è la responsabilità più grande che pesa sulla coscienza dell’uomo moderno.

Comunicazione

La conoscenza avviene durante l’atto di comunicazione. E’ una trama che si sviluppa tra un io e un tu. Partendo da me la conoscenza, è mancante di una parte. Si compie e si realizza solamente quando giunge a un tu. E si compie ne prima ne dopo, ma durante l’atto comunicativo.
Io credo che sto dicendo qualcosa a qualcuno, che trasmetto a lui, le conoscenze acquisite, mentre invece sono io il primo ad apprendere. E tanto più apprendo tanto più l’altro dimostra di ascoltare. Se la sua risposta è discreta e silenziosa, avrà capito da me, avrà comunque fatto un passo avanti. Se viceversa la sua risposta sarà invasiva, verrà catapultato in un contesto competitivo che mi distoglierà dall’apprendimento. Un conflitto di pensieri che si soppesano a vicenda non aiuta a fare passi in avanti, a progredire. Accogliente e direzionale, non rinunciataria e neppure arrogante questo il tipo di risposta che favorisce l’apprendimento. L’altro ha bisogno del nostro silenzio per sentirsi accolto, ma al tempo stesso ha bisogno della nostra fermezza e solidità per trovare una direzione alla folla di pensieri che ingombrano la sua mente. Non ha invece bisogno che noi ci si metta in competizione con lui trasformando la comunicazione in una lotta per il primato delle idee e delle azioni. In lui è  in atto un processo di apprendimento che va assecondato, accompagnato. Non bisogna presupporre che tale processo di apprendimento debba essere rimesso totalmente in discussione in base alla giustezza o meno delle idee. Prima ancora dei contenuti, dovremmo essere capaci di muovere l’animo ad una nuova attenzione, ad una nuova partecipazione. Solo così le parole che ne costituiscono, il nerbo e l’ossatura potranno dar vita ad una nuova combinazione conoscitiva.
Quando non ascoltiamo, mettiamo in circolo materiali di riflusso, materiali che si trasformano in una forma apparente non comunicativa. La negazione dell’atto di comunicazione (e quindi se c’è da ascoltare si ascolta, se c’è da parlare si parla) genera chiusura e autodifesa. Si prendono cioè materiali di pertinenza dell’atto comunicativo e li si trasformano in pensiero, che alimenta l’io e l’identità della persona. Ma lo fa, possiamo ora dire, snaturandola. Un essere destinato alla comunicazione, alla relazione, si trasforma in un solitario emblema di una cultura dell’incomunicabilità. Tutto ciò che non diciamo quando andrebbe detto, tutto ciò che non ascoltiamo quando andrebbe ascoltato, restano come qualcosa di irrisolto nella nostra mente e costituiscono il materiale al quale in continuazione rivolgiamo la nostra attenzione.

Pregare con Gesù

La preghiera, ho bisogno di pregare, tutti noi ne abbiamo bisogno. Non pregare è come dire non voglio essere felice, non amo la pace, la serenità dell’animo, la gioia che ne scaturisce improvvisa e dalle profonde risonanze. Ma non voglio pregare nel modo solito, con le solite preghiere, non voglio pregare recitando a memoria, con sforzo della mente. Voglio pregare stando in presenza, voglio pregare abbracciato a Gesù. Senza parole in completa e totale adorazione. E quello che ne viene fuori è ricchezza, è dialogo. E’ come stare davanti ad una fonte di inesauribile prosperità.

Lui mi viene a cercare, non lo incontro quando voglio io, raramente mi è capitato. Mi affanno a cercarlo (e quelle azioni avranno pure un senso) ma lui mi incontra quando è il momento, inaspettatamente oserei dire. Mi incontra quando ha qualcosa da dirmi, quando si fa più urgente e pressante l’esigenza di comunicare. Mi incontra, avviene l’incontro e sgorga spontanea e famigliare la preghiera. Un dialogo che si trasforma in preghiera. Una confidenza raccolta che rischiara e consola l’anima. Stai qui con me Gesù e ripetiamo insieme le parole che ci hai insegnato: Padre Nostro…

Post-it

Ci sono alcune parole che restano attaccate all’anima come tanti post-it in esse si condensa tutto ciò che ancora di irrisolto è presente dentro di noi. E per quanto le ripetiamo continuamente, non riusciamo mai a nominarle. Ossia la realtà che esse racchiudono non ci si svela mai. Ci vuole tempo, pazienza perchè si riattivi il loro contenuto. Perchè tornino a parlarci, a mostrarci la trama in esse racchiusa. Soprattutto quando abbiamo a che fare con eventi dolorosi possiamo immaginarci e figurarci l’anima con tutte queste ferite. Piccoli racconti cicatrizzati che non riusciamo più a leggere perchè sembrano scritti per noi in una lingua sconosciuta. A volte capita che questo post it si muova, si sposti e riveli il suo contenuto, lo smuova. La Parola di Dio è curativa contro queste incrostazioni, agisce lentamente eppure efficacemente.
Queste parole nelle quali spesso ci troviamo a commerciare sono prive di direzione, non indicano più, una strada da seguire. Sono come acqua sporca che ristagna in una pozza. Non c’è un affluente e neppure un defluente. La rete di canali che costituisce il mondo della comunicazione gli è attorno, eppure la pozza pare isolata. Questa è, l’immagine del nostro io, della nostra anima, ricolma di linguaggio che non comunica più, che ha perso per strada la sua forza. Per fortuna che in questo stato di cose, sepolta tra tante altre parole, ce n’è una che ha attecchito ed ora lentamente comincia a ricondurre il flusso vitale attraverso le arterie, scava nella terra tanti piccoli canali che la ricongiungono alla vita. Questa parola era stata coperta dalle altre, pareva scomparsa, seppellita, dispersa. I pensieri erano stati il suo letto di morte e sotto di loro era marcita, come seme, nella terra. Si era putrefatta. Ed ora invece eccola lì; pianta rigogliosa, trasformata, mutata, sospinta da nuova energia. E le vecchie parole nel vortice e nel vento dello Spirito Santo volano, muovono pezzi di carne e di sangue che ritrovano la gioia dell’esistenza.
Diventano frase, direzione, trama, arco puntato verso il domani, stanno lì come tanti cartelli a noi e a quelli che ci seguono ad indicare il cammino.