Maestro Buono

crocifissoMentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna? ”. Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Marco 10, 17-18

Perché Gesù si dispiace di essere definito buono? Un semplice aggettivo lo infastidisce, gli fa perdere di vista per un attimo la risposta dovuta al giovane ricco. Si blocca, si ferma, sembra non procedere oltre. E’ un sofisma o qualcosa di più, questo suo indugiare sull’aggettivo buono, questo rimarcare la sua inadeguatezza?

Gesù, in coerenza con quanto aveva affermato anche altrove, capisce che nella domanda c’è qualcosa di più, qualcosa che non appartiene a Dio bensì al suo antagonista. Ricordate cosa aveva detto in Matteo 5,37  “Il vostro parlare sia – sì, sì; no, no – il resto viene dal maligno” Ebbene nell’episodio che stiamo esaminando la domanda è “che cosa devo fare per avere la vita eterna?”, è una domanda precisa, scottante alla quale darà una risposta altrettanto definitiva e perentoria. Questa è comunicazione! A domanda, risposta, così ci si intende, così ci si capisce, c’è direzionalità nel linguaggio, ci sono tante frecce che ci indicano in quale direzione andare. Non abbiamo alibi, non ci sono giustificazioni che tengano. O diciamo si, oppure diciamo no, con assunzione piena di responsabilità. Intendiamoci, per il giovane ricco ci saranno altri bivi, altri crocevia e potrà scegliere ancora e riscattarsi, insomma non finisce tutto qui. La storia della salvezza di ciascuno di noi non si conclude neppure con la morte. Anche se per la parte maggiore sarà, sicuramente già compiuta in quel momento. Ma adesso, ora, il giovane ricco è chiamato a fare una scelta, a dire si oppure di no, con le conseguenze che ne derivano. Mi piace ricordare a tal proposito alcuni versi di Costantino Kavafis su Celestino V, riprendendo Dante “Che fece…il gran rifiuto”

Per certi uomini arriva un giorno
in cui il grande Sì o il grande No
devono dire. Subito appare chi
ha pronto il Sì, e dicendolo ancora

cresce nella stima e nella propria convinzione.
Chi ha rifiutato non si pente. Se gli chiedessero di nuovo,
direbbe ancora di No. Eppure
quel No – così giusto – l’angustia per la vita.

Torniamo invece alla parte del maligno. A quel “Maestro buono” che tanto dispiace a Gesù, perché lontano dal suo modo di comunicare, dal suo modo di indicare la strada, il cammino a ciascuno di no. Quelle parole, sono un blandire, un gettare le mani avanti per non rompersi l’osso del collo, una captatio benevolentiae del tutto fuori luogo. Adesso devo “bastonarti” e tu mi chiami buono così speri che addolcisca la pillola? Devo dirti che devi lasciare tutto e seguirmi, ma tu non vuoi che te lo dica. Vuoi fare salotto, parlare del più e del meno, mitigare una domanda tanto diretta e scottante, perché tutto alla fine resti come prima e tu possa sentirti sicuro e protetto nel mondo in cui vivi, nel rispetto della legge.

Gesù è buono, infinitamente buono e misericordioso ma non lo è secondo i criteri del mondo, la sua bontà non gli impedisce di comunicare la sua verità e giustizia, quella di Dio. Ecco uno dei tratti distintivi della vita di Gesù è proprio questo, la sua capacità di comunicare, di non rinunciare mai alla comunicazione, pur nelle difficoltà, anche nei momenti di dolore e massima sofferenza. Qui c’è una grande sofferenza da parte di Gesù, l’incomprensione umana. Gli uomini non capiscono, non intendono, non vanno oltre le loro categorie mentali, vedono tutto bianco o nero, devono vederla così per sentirsi rassicurati, per non sentir vacillare l’orticello che ha fatica si sono tirati su. Un buono che parla chiaro non è poi così buono, anche se non è cattivo; ma allora cos’è? Un diverso, ma la diversità fa da sempre paura, meglio crocifiggerla.

Post-it

Ci sono alcune parole che restano attaccate all’anima come tanti post-it in esse si condensa tutto ciò che ancora di irrisolto è presente dentro di noi. E per quanto le ripetiamo continuamente, non riusciamo mai a nominarle. Ossia la realtà che esse racchiudono non ci si svela mai. Ci vuole tempo, pazienza perchè si riattivi il loro contenuto. Perchè tornino a parlarci, a mostrarci la trama in esse racchiusa. Soprattutto quando abbiamo a che fare con eventi dolorosi possiamo immaginarci e figurarci l’anima con tutte queste ferite. Piccoli racconti cicatrizzati che non riusciamo più a leggere perchè sembrano scritti per noi in una lingua sconosciuta. A volte capita che questo post it si muova, si sposti e riveli il suo contenuto, lo smuova. La Parola di Dio è curativa contro queste incrostazioni, agisce lentamente eppure efficacemente.
Queste parole nelle quali spesso ci troviamo a commerciare sono prive di direzione, non indicano più, una strada da seguire. Sono come acqua sporca che ristagna in una pozza. Non c’è un affluente e neppure un defluente. La rete di canali che costituisce il mondo della comunicazione gli è attorno, eppure la pozza pare isolata. Questa è, l’immagine del nostro io, della nostra anima, ricolma di linguaggio che non comunica più, che ha perso per strada la sua forza. Per fortuna che in questo stato di cose, sepolta tra tante altre parole, ce n’è una che ha attecchito ed ora lentamente comincia a ricondurre il flusso vitale attraverso le arterie, scava nella terra tanti piccoli canali che la ricongiungono alla vita. Questa parola era stata coperta dalle altre, pareva scomparsa, seppellita, dispersa. I pensieri erano stati il suo letto di morte e sotto di loro era marcita, come seme, nella terra. Si era putrefatta. Ed ora invece eccola lì; pianta rigogliosa, trasformata, mutata, sospinta da nuova energia. E le vecchie parole nel vortice e nel vento dello Spirito Santo volano, muovono pezzi di carne e di sangue che ritrovano la gioia dell’esistenza.
Diventano frase, direzione, trama, arco puntato verso il domani, stanno lì come tanti cartelli a noi e a quelli che ci seguono ad indicare il cammino.