La conoscenza avviene durante l’atto di comunicazione. E’ una trama che si sviluppa tra un io e un tu. Partendo da me la conoscenza, è mancante di una parte. Si compie e si realizza solamente quando giunge a un tu. E si compie ne prima ne dopo, ma durante l’atto comunicativo.
Io credo che sto dicendo qualcosa a qualcuno, che trasmetto a lui, le conoscenze acquisite, mentre invece sono io il primo ad apprendere. E tanto più apprendo tanto più l’altro dimostra di ascoltare. Se la sua risposta è discreta e silenziosa, avrà capito da me, avrà comunque fatto un passo avanti. Se viceversa la sua risposta sarà invasiva, verrà catapultato in un contesto competitivo che mi distoglierà dall’apprendimento. Un conflitto di pensieri che si soppesano a vicenda non aiuta a fare passi in avanti, a progredire. Accogliente e direzionale, non rinunciataria e neppure arrogante questo il tipo di risposta che favorisce l’apprendimento. L’altro ha bisogno del nostro silenzio per sentirsi accolto, ma al tempo stesso ha bisogno della nostra fermezza e solidità per trovare una direzione alla folla di pensieri che ingombrano la sua mente. Non ha invece bisogno che noi ci si metta in competizione con lui trasformando la comunicazione in una lotta per il primato delle idee e delle azioni. In lui è in atto un processo di apprendimento che va assecondato, accompagnato. Non bisogna presupporre che tale processo di apprendimento debba essere rimesso totalmente in discussione in base alla giustezza o meno delle idee. Prima ancora dei contenuti, dovremmo essere capaci di muovere l’animo ad una nuova attenzione, ad una nuova partecipazione. Solo così le parole che ne costituiscono, il nerbo e l’ossatura potranno dar vita ad una nuova combinazione conoscitiva.
Quando non ascoltiamo, mettiamo in circolo materiali di riflusso, materiali che si trasformano in una forma apparente non comunicativa. La negazione dell’atto di comunicazione (e quindi se c’è da ascoltare si ascolta, se c’è da parlare si parla) genera chiusura e autodifesa. Si prendono cioè materiali di pertinenza dell’atto comunicativo e li si trasformano in pensiero, che alimenta l’io e l’identità della persona. Ma lo fa, possiamo ora dire, snaturandola. Un essere destinato alla comunicazione, alla relazione, si trasforma in un solitario emblema di una cultura dell’incomunicabilità. Tutto ciò che non diciamo quando andrebbe detto, tutto ciò che non ascoltiamo quando andrebbe ascoltato, restano come qualcosa di irrisolto nella nostra mente e costituiscono il materiale al quale in continuazione rivolgiamo la nostra attenzione.